Il Bosco di Arcegno

Il parco del bosco Maia di Losone

Parco del bosco di Maia è stato inaugurato il 28 aprile 1999, alla presenza delle autorità comunali, patriziali ed ecclesiastiche. Si estende su 100 ettari interamente boscati, proprietà del Patriziato di Losone. Il Parco è caratterizzato da un bosco  lasciato del tutto all’evoluzione naturale; i tagli sono esclusi, così come ogni altra forma di utilizzazione del legname. Il pieno rispetto dei processi naturali conferisce a questa vasta e splendida area boschiva, di facile accesso, vista la sua posizione a ridosso dell’agglomerato urbano del Locarne, una particolare atmosfera dell’essere, non dell’avere. La priorità è data alla natura e alla sua dinamica; quest’ area è perciò destinata più agli ammiratori del bosco che ai suoi utilizzatori. Qui il bosco è avvicinato con umiltà, con la massima gentilezza possibile; non vi devono trovare spazio quell’ansia dell’intervento così tipica del nostro approccio utilitaristico alla natura, il bisogno di lasciare tracce, di colonizzare e addomesticare, l’incapacità di lasciare tranquillamente le cose come sono. Si riconosce un fatto ovvio: in questo bosco “non c’è niente da migliorare”, questo bosco  è del tutto autonomo. In pochi anni le dinamiche naturali hanno già creato dei quadri che lasciano intuire la forza del bosco veramente naturale (una realtà pressoché assente in Ticino), e che permettono di godere tutta l’infinita varietà di aspetti che  solo un “bosco antico” regala.

Una natura ricca e diversificata
Il Parco del bosco di Maia comprende le colline fra Losone e Arcegno, fra 250 e 476 m s.l.m. Maia è il nome della maggiore di queste; la sua etimologia  potrebbe di conseguenza ricondurre al latino “major”, comparativo di “magnus” (quindi cima maggiore, più grande), ma eventualmente anche a “maiale”, in quanto nella zona, ricca di querce, venivano portati al pascolo i maiali. Il paesaggio, vistosamente modellato dai ghiacciai, offre un’eccezionale ricchezza di forme e aspetti, dai dossi di roccia levigata punteggiati da massi erratici (le rocce montonate) alle conche con ristagno idrico, dai pendii e pianori dalla più variata conformazione  a vallette percorse da ruscelli, dai dirupi ai fertili terrazzi. E’ parte dell’Inventario dei paesaggi, siti e monumenti naturali d’importanza nazionale (oggetto n. 1806 Ponte Brolla-Losone). Citiamo: “Tra Arcegno e Losone il paesaggio glaciale più caratteristico e completo di tutta la Svizzera a bassa altitudine…”.
La geologia è complessa, riflesso di una situazione tettonica molto articolata; Il Parco è situato immediatamente a nord della linea insubrica. La maggiore parte dell’area è contraddistinta da diverse tipologie di gneis, e, in proporzioni minori, da ricoprimenti morenici. La pedologia è poco conosciuta; non è tuttavia azzardato ipotizzare un complesso mosaico di terreni di diverso chimismo, la base di variazioni stazionali considerevoli (la tipologia più diffusa dovrebbe essere quella dei cosiddetti ranker criptopodsolati e dei criptopodsoli humici). 
 
Il clima è pronunciatamente insubrico, contraddistinto da periodi di vegetazione molto lunghi, generalmente accompagnati da abbondanti precipitazioni e da temperature elevate, queste ultime tuttavia leggermente inferiori rispetto alla stazione di Locarno-Monti. Sono premesse favorevoli ad un intenso sviluppo della vegetazione; purtuttavia non devono essere dimenticati i periodi  di secco estivo, di non facile interpretazione ecologica. L’inverno e l’inizio della primavera sono caratterizzati da lunghi periodi poveri di precipitazioni, premessa allo scoppio di incendi. La frequenza degli incendi non è, tutto sommato, allarmante; nei passati decenni singoli eventi hanno tuttavia arrecato grave danno al manto boschivo. Va sottolineato come il perimetro sia facilmente raggiungibile con autobotti nelle fasce periferiche; inoltre è stata realizzata una rete di idranti, che, considerati i progressi tecnici e organizzativi nello spegnimento degli incendi, dovrebbe garantire una sufficiente protezione del bosco. Il pericolo degli incendi richiede, nonostante ciò, una particolare vigilanza. La rete dei corsi d’acqua, particolarmente articolata, si presenta in condizioni di elevata naturalità; principale corso è quello della Brima, seguito dall’Ortighéé e dalla Segna.  Il manto vegetale è eccezionalmente variato, il riflesso della molteplicità delle condizioni stazionali. Ricordiamo per inciso che le analisi polliniche di ZOLLER, importanti per la comprensione della storia della vegetazione del Sud delle Alpi, soprattutto in relazione al suo ritorno dopo le glaciazioni, hanno fatto capo a materiale raccolto anche nella zona di Arcegno. Il numero delle sole piante vascolari presenti è valutabile a 800 circa, tra cui alcune rare, quali la felce florida (Osmunda regalis) e il cisto a foglie di salvia (Cistus salviifolius). I muschi dovrebbero essere presenti con ben oltre un centinaio di specie (si tratta di una prima grossolana valutazione). Poche le informazioni sul variegato ed estesissimo universo dei funghi. Fondamentali per capire il manto arboreo della Maia sono le analisi fitosociologiche  di K. EHRENSBERGER, pubblicate nel 1984; evidenziano il predominio dei querceti con betulla (il Querco-Betuletum), legati alle stazioni meno fertili della fascia di latifoglie dell’orizzonte submontano (collinare) al Sud delle Alpi. In condizioni naturali vi dominano il rovere e la quercia pubescente (o ibridi delle stesse), oltre la betulla; nella realtà non più naturale, da secoli, bensì culturale, del Sud delle Alpi, queste stazioni sono fortemente occupate dal castagno. Crescita e dinamica evolutiva dei popolamenti arborei non sono particolarmente intense, dato appunto il regime nutrizionale scarso. Alcune aree, il Barbescio in particolare, offrono un insieme di stazioni seccaginose e quindi di corrispondenti associazioni vegetazionali non dotate delle condizioni ecologiche minime richieste  per la crescita di un manto boschivo; queste aree rimangono quindi  naturalmente aperte,  fatto importante sotto l’aspetto della biodiversità. Altre aree, per contro, ospitano le associazioni che richiedono un regime idrico e nutrizionale più intenso; trattasi di unità relativamente esigenti ascrivibili al Querco-Fraxinetum. Sono stazioni ricche di nutrienti e dotate di un regime idrico favorevole. In condizioni naturali ospitano un numero di specie arboree molto maggiore delle precedenti, in particolare specie quali l’ontano nero, il frassino, l’acero di montagna, l’acero campestre, il ciliegio, il tiglio e il faggio, che si aggiungono alla quercia. Tali popolamenti mostrano una crescita e dinamica evolutiva assai intensa; in mancanza di tagli si evolvono verso strutture e composizioni naturali in  tempi relativamente brevi, perlomeno se li confrontiamo con i querceti con betulla.  E’ comunque importante rilevare che queste variazioni stazionali non potevano, fino a qualche decennio fa, esprimersi con una corrispondente varietà di specie arboree, per la massiccia  presenza del castagno a scopi produttivi.   

La fauna  del Parco è conosciuta bene limitatamente alle libellule, agli anfibi e ai rettili. L’Inventario dei siti di riproduzione degli anfibi di importanza nazionale e cantonale menziona 9 aree, che ospitano la popolazione numericamente più importante del Cantone. Complessivamente sono state osservate 8 specie, fra cui il rarissimo tritone punteggiato. L’Inventario degli spazi vitali di rettili del Cantone Ticino segnala, nell’area che ci interessa, una decina di specie. Importanti lacune conoscitive si hanno per contro relativamente ai mammiferi, all’avifauna e agli insetti.
 
Il grande valore di biodiversità di questa vasta area boscata  è riconducibile alla diversità degli ambienti presenti  -alberi, rocce, pietraie, corsi d’acqua, stagni- e, e ciò è fondamentale, al fatto che abbia potuto evolvere spontaneamente durante gli ultimi cinquant’anni almeno. Invero anche qui, come nella maggior parte dei nostri boschi, i carichi di sfruttamento causati dalle tradizionali forme di gestione del passato, hanno lasciato il loro segno. Decisivo è stato l’aver lasciato respiro al bosco, che si è autorigenerato. Le specie native sono ritornate, il manto vegetale si è differenziato e arricchito; al castagno si sono aggiunte spontaneamente le specie del corredo originario, parzialmente già ricordate. L’epidemia del cancro del castagno ha favorito e tuttora favorisce l’evoluzione del bosco verso un assetto naturale e comunque contribuisce ad incrementare la biodiversità; si pensi infatti già solo all’importanza biologica del legno morto a terra e soprattutto in piedi. Oggi rallegra il fatto che la foresta della Maia abbia raggiunto un assetto che potremmo definire come vicino allo stato naturale; uno stato vegetativo veramente originario potrà essere raggiunto a lungo termine. 

La gestione passata e la situazione forestale odierna

Nelle grandi linee l’utilizzazione di queste aree non si scostava, fino agli anni cinquanta, dal modello agricolo-forestale tipico della fascia pedemontana del Sud delle Alpi; è interessante rilevare che la presenza dell’uomo risale a epoche preistoriche,  come testimoniano  ad esempio le analisi polliniche di ZOLLER e la presenza di massi copellari. In tal senso vanno pure ricordate le rovine situate sul Balladrume, su territorio di Ascona. Diffusi erano in particolare il ceduo castanile  e la pascolazione, quasi assente per contro la selva di castagno. Il bosco era sottoposto a pesanti carichi di sfruttamento, come si desume dai  piani di assestamento del 1955, elaborati dal Servizio forestale. Le foto aeree degli anni quaranta evidenziano popolamenti giovani e poco densi, e soprattutto vaste aree aperte. Nel dopoguerra il declino delle attività silvo-pastorali ha permesso al bosco di riprendersi e rinvigorirsi, con un’evoluzione positiva dei parametri provvigione, densità, accrescimento, fertilità stazionale e, con ogni probabilità, della biodiversità. Negli anni sessanta e oltre questo territorio  ha potuto essere salvaguardato dall’edificazione, grazie ad una corretta applicazione delle normative forestali ad opera del Servizio forestale. Negli anni ottanta il Patriziato di Losone si fa promotore di un “progetto di risanamento pedemontano”, comprendente interventi selvicolturali, la costruzione di infrastrutture per l’esbosco del legname (strade e piste forestali) e la realizzazione di opere antiincendio. Le attività di taglio ebbero un’incidenza praticamente trascurabile sui popolamenti arborei del Parco; giustamente le attività forestali si concentrarono sui comparti già serviti da strade e di più comoda gestione.  L’assenza di strade e piste forestali nella zona che ci interessa, previste ma fortunatamente non eseguite, è stato ovviamente di impedimento all’avvio di una classica gestione a tagli. Di conseguenza nell’insieme il Parco è costituito da popolamenti evolutisi spontaneamente durante gli ultimi cinquant’anni circa.

Oggi il bosco Maia

Oggi il bosco Maia offre un ricco mosaico di stadi di sviluppo e di fasi evolutive, di specie  arboree e di strutture, una grande varietà di aspetti. La densità dei popolamenti è quasi ovunque elevata; si sono ricreate le condizioni microclimatiche tipiche degli ambienti forestali. Evidentemente nell’insieme i popolamenti arborei sono giovani, in quanto, come visto, sono perlopiù sorti negli anni quaranta e seguenti. Anche per tale motivo il bosco della Maia non può ancora essere definito come  autenticamente naturale. Il ritorno ad un assetto naturale è però appariscente,  come detto, in primo luogo nelle stazioni di maggiore fertilità, dove sono già da tempo presenti le specie del corredo originario, quali la quercia, il tiglio, il frassino, il ciliegio, l’ontano nero e in parte il faggio (accanto al castagno e alla betulla preesistenti). La concorrenza fra gli individui è in atto, la selezione naturale riduce vieppiù la presenza delle specie pioniere, prima fra tutte la betulla, e, parzialmente, anche il castagno. Il querceto misto si afferma. Lo stato di salute del bosco non si discosta apparentemente dal livello della regione. Il cancro del castagno è ovviamente presente; la sua azione sugli esemplari adulti è appariscente, senza danno tuttavia per il tessuto del bosco, come detto. Ma in quest’ottica l’aspetto di maggiore importanza sembra essere lo stato di sofferenza della quercia, del resto osservabile in tutta la regione, se non in tutto il Cantone.

In conclusione l’area del Parco del bosco di Maia offre complessivamente e per singole componenti una biodiversità molto elevata; la naturalità degli ambienti è notevole, i valori estetici e culturali insostituibili. I valori naturalistici appaiono largamente superiori  all’interesse di una ipotetica utilizzazione forestale classica, che peraltro non avrebbe nessun fondamento economico. In tali condizioni i tagli sono infatti sempre largamente deficitari; la loro attuazione è condizionata da sussidiamenti pubblici. Oggi la produzione di legname in questa e altre zone non è più importante; oggi assumono importanza gli aspetti legati alla biodiversità, all’osservazione scientifica del bosco e della natura in genere senza l’intervento modificatore dell’uomo, all’educazione del cittadino e dei giovani in particolare, al ruolo benefico di una natura non manipolata in relazione al benessere della popolazione.  Sono questi gli aspetti su cui è incentrato il Parco del bosco Maia.

Quale sarà l’evoluzione naturale del bosco Maia? E’ prevedibile che nei prossimi anni i grossi soggetti, quercia in primo luogo, si rafforzeranno ulteriormente. A corto e medio termine  vi saranno meno alberi, tuttavia di maggiori dimensioni. Tale evoluzione e in particolare la maggiore offerta di tronchi vecchi e di legno morto è da valutare positivamente, per i suoi effetti benefici sul ciclo dei nutrienti (il terreno è “nutrito); importante rilevare che lo spoglio naturale offre possibilità di vita a molte specie vegetali, in primo luogo funghi, muschi e licheni (quasi un quinto delle specie vegetali da bosco sono considerate come minacciate). Aumentano inoltre le nicchie per molte specie animali, in primo luogo uccelli e mammiferi. Tronchi cavi sono essenziali, ad esempio per i pippistrelli, nonché per i picchi, le cince, il rampichino, i rapaci notturni e molte altre specie (il 30% circa degli uccelli da bosco è in pericolo). E’ infine da ricordare l’incredibile varietà di insetti del bosco; la sola quercia ad esempio può ospitare circa 900 specie di coleotteri.

Nell’insieme non sono comunque prevedibili forti cambiamenti nella struttura del bosco, perlomeno non a corto e medio termine. Le principali specie arboree che lo compongono si troveranno infatti nell’insieme ancora per molto tempo nella cosiddetta fase “dell’optimum” di crescita, caratterizzata da una notevole stabilità. Qua e là il crollo di singoli  grossi esemplari ha innescato le dinamiche di ringiovanimento tipiche della foresta primaria; tale positiva evoluzione sicuramente continuerà, e porterà nel tempo alla caratteristica variabilità spaziale del bosco naturale. Questa tranquilla linea evolutiva, che ben conosciamo dallo studio delle foreste totalmente originarie situate prevalentemente nell’Europa dell’est, potrebbe o potrà qua e là essere interrotta da “eventi superiori”, quali colpi di vento di eccezionale intensità, capaci di riportare l’ecosistema forestale per così dire al punto di partenza.

L’istituzione del Parco

Il 1990 ha visto l’avvio dei lavori di elaborazione di un concetto di gestione dell’insieme delle proprietà forestali del Patriziato di Losone nella fascia pedemontana, estese su 330 ettari. E’ un documento inteso a coordinare e dirigere le attività in bosco in dipendenza dei diversi interessi presenti e dei presupposti stazionali; in sostanza definisce gli obiettivi da seguire nei diversi comparti forestali e stabilisce le linee direttrici della gestione forestale. Nell’ambito di questa prima fase di lavoro sul piano degli obiettivi è stato possibile delimitare l’area del futuro Parco, sostanzialmente  in funzione dei dati stazionali (fertilità dei terreni, associazioni vegetazionali di particolare interesse), della presenza di biotopi di particolare interesse naturalistico (bolle, rupi, corsi d’acqua), della diversità, bellezza e naturalezza dei popolamenti arborei, dei costi derivanti da un’ipotetica gestione a tagli e della presenza di infrastrutture (sentieri, strade). Sono state considerate le basi pianificatorie esistenti: Piano direttore cantonale, Inventario dei paesaggi, siti e monumenti naturali d’importanza nazionale, inventari naturalistici a livello nazionale e cantonale (riferiti, nel caso specifico, ai rettili e agli anfibi), osservazioni scientifiche.  Il  Parco include le aree di maggior pregio naturalistico, paesaggistico ed estetico e, fatto decisivo, non conflittuali rispetto ad altre funzioni del bosco,  elementi e obiettivi della pianificazione del territorio. Il concetto o piano di gestione in parola, pubblicato nel  1993, ha avuto un ruolo decisivo, in quanto ha permesso di discutere e appianare assai facilmente i conflitti fra i vari attori.  Si noti che ha assunto un carattere del tutto informale, perlomeno inizialmente. Il concetto del 1993 è stato sottoposto all’attenzione delle parti interessate: i proprietari prima di tutto, ovvero il Patriziato di Losone, in seguito le autorità forestali cantonali e federali, uffici ed enti preposti alla protezione della natura  e alla pianificazione del territorio, autorità scolastiche, responsabili della vicina Piazza d’armi di Losone, popolazione. Si è in tal modo arrivati alla fase delle approvazioni, conclusasi nel marzo del 1995 con la formale accettazione del documento da parte del Patriziato di Losone. La successiva fase di lavoro è stata quella della progettazione di dettaglio, che ha portato nel gennaio del 1996 alla presentazione di un “Progetto Parco del bosco di Maia”, che definisce specificatamente gli obiettivi, le misure di gestione e i relativi costi.  Il Progetto del 1996, che  ha ottenuto l’approvazione delle competenti istanze cantonali e federali, getta le basi per l’attuazione e il sussidiamento dei lavori di gestione del Parco. Le approvazioni sono state, nell’ordine, del Patriziato di Losone (febbraio 1996), del Cantone (settembre 1996) e del BUWAL (aprile 1997). I Progetti del 1993 e del 1996 menzionati soddisfano le esigenze cantonali e federali relative alle riserve forestali (Concetto per la creazione di riserve forestali nel Cantone Ticino, del 2000). L’istituzione formale del Parco è avvenuta tramite l’inserimento a Piano regolatore del Comune di Losone di un’apposita zona di utilizzazione con relativa normativa d’attuazione; questa procedura è stata avviata nel 1996 e si è conclusa con l’approvazione del Consiglio di Stato del 5 maggio 1998. L’istituzione del Parco ha quindi richiesto oltre otto anni di lavoro promozionale e pianificatorio, durante i quali hanno dovuto essere affrontate molte difficoltà di ogni genere.

La gestione del Parco del bosco di Maia

Gli scopi del Parco del bosco di Maia sono definiti come segue:

il bosco della Maia deve poter evolversi spontaneamente in un bosco primario. Sono pienamente riconosciuti i valori ecologici, naturalistici, paesaggistici ed estetici di questo complesso boschivo, valori che si mantengono autonomamente e anzi si affermano ulteriormente in assenza di interventi di taglio;

la percezione “del naturale” da parte del cittadino va favorita. L’obiettivo è quello di avvicinare l’uomo e il giovane in particolare al bosco naturale. Si tratta di far vivere il bosco nella persona e di superare la visione negativa del “bosco sporco”. In tal senso è prima di tutto da proporre il semplice piacere di stare nel bosco; l’evoluzione naturale del bosco va seguita scientificamente. La dinamica del paesaggio e la sua storia sono da descrivere.

La gestione a riserva forestale comporta l’esclusione dei tagli e della raccolta della legna. L’evoluzione spontanea è tuttavia corretta limitatamente alla manutenzione dei sentieri e alla cura delle aree umide. Infatti il rafforzamento delle funzioni ricreative e sociali di questa riserva forestale presuppone l’offerta di un’adeguata rete di sentieri (immagine che segue). Percorsi bene assestati canalizzano inoltre i frequentatori, sono un freno alla loro dispersione su tutta l’area, particolarmente negativa in corrispondenza di biotopi delicati,come ad esempio le aree umide. Sono definite due categorie di sentiero, principale e secondario, con un corrispondente standard di manutenzione. Lungo l’intero sviluppo dei sentieri (8,3 km, percorribili unicamente a piedi) è previsto l’allontanamento degli  alberi pericolanti; trattasi di una misura precauzionale a carattere minimo. Interventi di cura delle cosiddette bolle sono necessari ai fini della salvaguardia delle popolazioni di anfibi; anche in questo caso si tratta di interventi cauti, che non alterano l’aspetto dei luoghi. Si interviene solitamente con un’apertura degli spazi interessati, tale da acconsentire un maggior apporto di luce; inoltre si procede allo scavo di piccole buche, per permettere agli anfibi di sopravvivere anche in periodi di prolungata siccità. Altro importante settore d’attività è quello dell’informazione e segnaletica. E’ stata portata a termine la posa di tavole informative in corrispondenza dei  principali punti d’accesso; un’ulteriore offerta di materiale informativo è allo  studio. La forte componente etica del Parco, che vuole essere “aperto e conviviale”, è messa in rilievo dalla presenza ad Arcegno  della “Scuola nel bosco”. Le attività di monitoraggio si sono fino ad oggi concretizzate in due ricerche incentrate sulla struttura e composizione del bosco, tramite il rilevamento di cosiddetti transetti (dimensione 15 x 50 m.); saranno ripresi fra circa 15 anni, per una descrizione dell’evoluzione del manto forestale. Sono in corso censimenti ornitologici, ad opera della Società ornitologica di Locarno e dintorni, indagini sulle popolazioni di anfibi e una ricerca sugli influssi della selvaggina (capriolo in primo luogo) sulle dinamiche evolutive del bosco. Molti sono i temi che meriterebbero l’attenzione di ricercatori e appassionati! 

I costi di gestione del Parco ammontano, in una prima fase di assestamento di 10 anni, a fr. 24.000,- annui circa. Tali costi sono sussidiati dagli enti pubblici sulla base della Legge sulle foreste. Sono costi almeno dieci volte inferiori a quelli di un’ipotetica gestione classica (strade, tagli, ecc.). Il Parco del bosco di Maia concretizza un modello di gestione forestale e naturalistica alternativo, sicuramente interessante anche per altre  aree del Cantone. E’ un modello imperniato sull’esigenza di un maggiore rispetto del bosco (dimentichiamo spesso che gli alberi e gli altri “elementi” del bosco non sono “materia morta”, bensì esseri viventi), di una maggiore fiducia nella natura, di una rivalutazione degli aspetti selvaggi della stessa (di cui, sintomaticamente, abbiamo così esageratamente paura), di un riconoscimento dei suoi effetti benefici sulla psiche. E’ anche un primo concreto passo verso una completa revisione del nostro modo di vedere e quindi di gestire la foresta, un processo che richiederà un ulteriore importante lavoro di approfondimento, innanzitutto ad opera del Servizio forestale.

Il Parco del bosco di Maia è stato istituito grazie all’apertura del Patriziato che ne è il proprietario e alla lungimiranza del Comune di Losone. E’ parte di una rete di aree protette e riserve forestali istituite o in fase di approvazione che fanno dell’alto Verbano una regione particolarmente interessante per l’escursionismo e il “turismo verde”: ricordiamo, oltre il Parco del bosco di Maia, la Riserva forestale dell’Arena in Valle di Vergeletto, quella dell’Onsernone e quella di Palagnedra, come pure le numerose e importanti aree naturalistiche della vicina Provincia Verbano-Cusio-Ossola (VCO), in primo luogo il Parco nazionale Val Grande.

Fondatore Scuola nel Bosco di Arcegno
Roberto Buffi
Scritto tratto da “Il Nostro Paese”, n. 260 | Gennaio-Febbraio 2001

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